La Corte di Cassazione sulla responsabilità per danni dei consulenti previdenziali

La Suprema Corte di Cassazione, con una recentissima sentenza, ha affermato un importante principio nell’ambito delle responsabilità relative all’attività dei Patronati.

Infatti, con la pronuncia del 11.12.2023 n. 34475, la Cassazione, ribaltando la decisione assunta dai due gradi di giudizio precedenti, ha disposto che l’assistito del patronato ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno laddove dimostri che per effetto della presentazione di una domanda di pensionamento errata da parte del Patronato, non gli siano state riconosciute dall’INPS alcune mensilità di pensione.

Al riguardo il Supremo Collegio ha chiarito nella pronuncia in esame l’ambito degli accertamenti istruttori richiesti a ciascuna delle parti in causa.

Da un lato, infatti, al lavoratore spetta di dimostrare esclusivamente il conferimento del mandato assistenziale al Patronato per la domanda pensionistica e l’errore commesso dal Patronato nella presentazione della domanda, nonché il danno che a causa di tale errore egli ha subito.

Dall’altro lato, invece, il Patronato, per sottrarsi ad una sentenza di condanna al risarcimento del danno, dovrà dimostrare non solo che il pregiudizio per l’assistito avrebbe potuto essere evitato impugnando il provvedimento di diniego dell’INPS, ma anche che il relativo ricorso avrebbe avuto ragionevoli probabilità di essere accolto.

In sostanza, con tale pronuncia è stato “aggravato” l’onere probatorio a carico dei Patronati, anche sul presupposto che l’obbligo assunto da tali organi al momento del conferimento del mandato, data la specificità della loro azione, implica necessariamente una diligenza “rafforzata”, tale da imporre loro uno studio approfondito della situazione pensionistica del cliente e l’individuazione della scelta per lui più favorevole.

Pertanto, i Patronati non potranno più limitarsi – per sottrarsi a qualsiasi responsabilità risarcitoria – a sostenere che il danno avrebbe potuto essere evitato tramite l’impugnazione del provvedimento di diniego dell’INPS, ma dovranno anche fornire la dimostrazione che tale ricorso aveva buone possibilità di accoglimento, con azzeramento, dunque, del pregiudizio subito dal lavoratore.