Il tema del consenso informato del paziente è al centro di una recente sentenza della Cassazione Civile (n. 1936 del 23 gennaio 2023) che esamina il concreto contenuto che deve avere l’informativa al paziente ed, in particolare, come si articola il dovere di informazione sulle alternative terapeutiche e quali sono le conseguenze di eventuali omissioni.
La Suprema Corte ha esaminato il caso di un paziente sottoposto ad un intervento chirurgico al termine del quale, in conseguenza di complicazioni impreviste, si è reso necessario un ulteriore intervento che ha provocato gravi conseguenze permanenti. Il paziente ha agito dunque in giudizio contro l’ospedale ed il Tribunale di primo grado ha accolto le sue domande e condannato la struttura – con ordinanza 702 bis c.p.c. – a risarcirlo. La Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado in quanto il Tribunale ha basato la propria decisione su quanto emerso dalla consulenza tecnica d’ufficio, che ha accertato che le complicanze occorse, benché rare e imprevedibili, sono dipese dalla tecnica operatoria eseguita, considerata obsoleta. Se l’intervento fosse stato invece eseguito con nuova tecnica, le complicanze sarebbero state evitate.
Secondo l’ospedale, la condanna non è giustificata, perché la colpa del chirurgo non è consistita né nella scelta della tecnica chirurgica (che, ai tempi dell’intervento, appariva corretta), né nella sua imperita (cioè in violazione delle leges artis) esecuzione. Secondo la decisione impugnata, infatti, l’esecuzione dell’intervento è avvenuta correttamente in base alla tecnica prescelta, ma si sono poi verificate complicanze imprevedibili, connesse ad una peculiare condizione personale del paziente, sconosciuta ai tempi dell’intervento. La colpa del chirurgo è consistita soltanto nel non avere informato il paziente che esiste un’altra tecnica operatoria che avrebbe verosimilmente evitato il danno. Secondo l’ospedale, il non avere informato il paziente di questa alternativa non può ritenersi causa del danno, perché la scelta e l’esecuzione della tecnica non è stata una scelta caratterizzata da colpa. Infatti, anche se il paziente fosse stato informato dell’esistenza di una tecnica alternativa, non l’avrebbe scelta, dal momento che il chirurgo cui si era rivolto è un esperto della tecnica eseguita.
Secondo la Cassazione, nel merito, l’impostazione data dall’Ospedale è corretta: infatti, la Corte d’Appello ha mostrato di ritenere che l’unica condotta colposa ascrivibile al medico sia l’omessa informazione del paziente sulle alternative terapeutiche. Se questa è stata l’unica condotta colposa, per condannare la struttura sanitaria al risarcimento del danno, la Corte avrebbe dovuto ricostruire il nesso casuale tra l’omessa informazione e l’evento del danno, ipotizzando cosa sarebbe accaduto se il medico avesse informato il paziente della possibilità di scegliere tra una tecnica o l’altra. La Corte d’Appello ha tuttavia omesso tale giudizio, limitandosi ad affermare che la tecnica nuova avrebbe evitato l’evento e che, di conseguenza, la condotta omissiva del medico è stata causa del danno. In questo modo è mancato nella sentenza impugnata l’accertamento del nesso causale tra violazione della regola cautelare ed evento dannoso.
Su quanto esposto, la sentenza impugnata è stata cassata dalla Suprema Corte e rinviata alla Corte d’Appello di provenienza, in diversa composizione, che dovrà accertare con un giudizio contro-fattuale se è plausibile che un’informazione completa al paziente avrebbe condotto quest’ultimo a scegliere la tecnica alternativa, che non è stata eseguita.