The Legitimacy of the Self-Laundering: Judgment c/790/19 of the European Court of Justice

The second Chamber of the European Court of Justice, with judgment c/790/19 clarified an important legal issue, establishing the principle according to which the perpetrator of the principal offense can be charged with the offense of money laundering, thus confirming the legitimacy of the self-laundering in all the EU States.

The Court, in fact, called upon to provide an interpretation of Article 1(2)(a) of Directive 2005/60/EC (in force during the main proceedings and later repealed and transposed by Article 1(3)(a) of EU Directive 2015/849) ruled that European legislation on the prevention of the use of the financial system for the purpose of money laundering and terrorist financing does not preclude “national legislation which provides that the offence of money laundering may be committed by the perpetrator of the criminal activity which generated the funds in question”.

The request for a preliminary ruling was made by the Tribunal of Brasov (Romania) upon the conviction of a man for money laundering, arising from tax evasion. Specifically, the transfer of money took place through a contract of assignment of debt between the defendant and the company he administered, as well as the company administered by another person, who was the concurrent offender.

According to the referral Judge, the perpetrator of money laundering cannot be the same perpetrator of the principal offense as such identity infringes the principle of ne bis in idem.

On the contrary, the Court of Justice, on the basis of the conclusions made by the Advocate General, stated that the anti-money laundering legislation covers ” the conversion or transfer of property, knowing that such property is derived from criminal activity or from an act of participation in such activity, for the purpose of concealing or disguising the illicit origin of the property or of assisting any person who is involved in the commission of such activity to evade the legal consequences of his actions”.

Accordingly, such requirement is met with the sole knowledge by the perpetrator of the illicit origin of the funds. Therefore, since this condition is known by the perpetrator of the criminal activity from which those funds originate, it does not rule out the possibility that the same person may also be the perpetrator of the money laundering offense provided for in Article 1(2)(a) of Directive 2005/60.

In conclusion, the Court has clarified, in order to ensure compliance with the principle of ne bis in idem, that the referral Court is required to verify that the material facts constituting the principal offense, namely tax evasion, are not identical to those for which the defendant was prosecuted for money laundering.

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LA LEGITTIMITA DEL REATO DI AUTORICICLAGGIO: LA SENTENZA C/790/19 DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA

Con la sentenza c/790/19 la II Sezione della Corte di Giustizia Europea mette il punto su un importante questione di diritto, sancendo il principio secondo cui l’autore del reato principale può essere imputato anche del delitto di riciclaggio, confermando quindi la legittimità del reato di autoriciclaggio in tutti gli ordinamenti degli Stati appartenenti all’Unione Europea.

La Corte, infatti, chiamata ad interpretare l’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2005/60/CE ( in vigore durante il procedimento principale poi abrogato e recepito dall’articolo 1, paragrafo 3, lettera a), della direttiva UE 2015/849 ) ha stabilito che la normativa europea relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, non osta ad una normativa nazionale che prevede che il reato di riciclaggio di capitali possa essere commesso dall’autore dell’attività criminosa che ha generato i capitali di cui trattasi”.

La domanda di pronuncia pregiudiziale era stata presentata dal Tribunale Superiore di Brasov, in Romania, a seguito di una condanna ad una pena detentiva, per riciclaggio di capitali provenienti da evasione fiscale, a carico di un soggetto privato. Nella specie, il trasferimento di denaro avveniva per il tramite di un contratto di cessione tra l’imputato e la società da lui amministrata, nonchè la società di cui era amministratore un altro privato, concorrente del reato.

Secondo il giudice del rinvio, l’autore del reato di riciclaggio di capitali non poteva essere quello del reato principale, perchè ritenendo il contrario si lederebbe il principio del ne bis in idem.

In risposta, la Corte UE, sulla base delle conclusioni dell’Avvocato Generale, ha ritenuto invece che la formulazione della normativa antiriciclaggio concerne “la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengano da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni.

Tale requisito, dunque, consisterebbe solo nel richiedere che l’autore del reato di riciclaggio di capitali conosca l’origine illecita dei capitali interessati. Poiché tale condizione risulta soddisfatta dall’autore dell’attività criminosa da cui tali beni provengono, essa non esclude che tale persona possa anche essere l’autore del reato di riciclaggio previsto all’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2005/60.

Da ultimo, la Corte ha chiarito, al fine di garantire il rispetto del principio del divieto di ne bis in idem, che spetta al giudice di merito verificare che i fatti materiali costitutivi del reato principale, ossia l’evasione fiscale, non siano identici a quelli per i quali l’imputato è stato perseguito a titolo di riciclaggio di capitali.

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